Tempo di lettura: quattro minuti.
“Il furore è diventato acini e gli acini grappoli e fra poco è tempo di vendemmia.” John Steinbeck, Furore
Uno vale uno e’ il principio guida dell’attuale governo giallo-verde.
Non e’ poi tanto nuovo poiche’ da 25-30 anni il nostro paese non cresce piu’ se non di pochi decimali e quindi la redistribuzione del reddito trova un ostacolo quasi naturale nella scarsita’ di risorse a disposizione: poco a tutti non fa male a nessuno, anche se forse fa male a tutti.
E’ un orientamento, una visione di lungo periodo che è l’esatto contrario della meritocrazia. Il grande “merito” di questo governo, cioe’ il fatto nuovo e’ di aver legittimato l’antimerito, facendone una bandiera del populismo montante.
Diventa la pietra angolare di una serie di provvedimenti che vanno dal credito, ai vaccini, da Alitalia alle infrastrutture e ora alla confusa riforma delle pensioni per quel che si e’ capito dalle anticipazioni della stampa.
Uno vale uno e quindi una pensione se supera i 4000 euro netti sara’ sottoposta non al ricalcolo, ma a una vera e propria tassa/sanzione, anche dal significato morale, a vantaggio dei trattamenti piu’ bassi.
Sembra un provvedimento da stato etico piuttosto che da stato di diritto. Tralasciando gli aspetti giuridici e distorsivi di simili atti, l’affermarsi di questi principi nega alla radice i concetti moderni della vita civile: competenza, meritocrazia, sviluppo professionale. Gli effetti collaterali, a fronte di un pò di consenso e pace sociale, si avvertiranno nei tempi a venire. Le grandi questioni quali l’evasione fiscale, la corruzione, le mafie non saranno scalfite, poiche’ il focus della politica economica e’ volta a riequilibrare con un po’ di mance le differenze sociali che pure esistono e vanno contrastate, ma non ad incidere sulle gravi distorsioni che le producono.
Come si passa da questi interventi redistributivi allo sviluppo del paese e’ un mistero, se non crescono adeguatamente gli investimenti tanto per accrescere quanto per mantenere il capitale fisico del paesello. Il grande uomo politico della socialdemocrazia europea, lo svedese Olof Palme, scomparso nel 1986 a causa di un mortale attentato, paragonava il capitalismo a una pecora: prima di tosarla, deve ingrassare. Prima di distribuire bisogna produrre, perche’ non esiste un pasto gratis.E vorremmo che il professor Savona, nel quale riponiamo grande fiducia, ci spiegasse quello che accade. Ma tant’e’: uno vale uno implica solo il primato della distribuzione del reddito, non quello della sua produzione.
Vorremmo sottolineare, con buona pace di coloro che oggi storcono il naso di fronte a questo andazzo, che sono decenni che la nostra società si ispira all’uno vale uno, cioe’ un po’ a me e un po’ a te, a prescindere dal merito e dai risultati.
E quindi il criterio ora declinato non è una novità.
La prova è il nostro sistema scolastico, che, a livello individuale ci fa toccare il cielo con l’ultimo Nobel della Matematica e dall’altro non riesce a produrre le competenze richieste da un moderno sistema economico e sociale. Il fatto che un laureato in ingegneria ne valga uno in scienze della comunicazione e che tra pochi mesi verranno progressivamente a mancare i medici, mentre il numero degli avvocati di Roma è pari a quello di tutta la Francia sono dimostrazioni lapalissiane che da tempo in Italia uno vale uno. Per non parlare della cinica democrazia degli incidenti sul lavoro.
Forse è l’eredita’ del mai abbandonato alveo del cattocomunismo e del moralismo un po’ fine a se stesso, che si riproduce soltanto attraverso un linguaggio diverso.
Abbiamo lavorato un po’ di tempo in un’importante azienda che destinava molte risorse a formare i dirigenti, a selezionarli e a promuoverli con criteri meritocratici. E in effetti così era: solo che il merito lo decideva insindacabilmente la classe dirigente pro tempore e la regola veniva capovolta con spietatezza ad ogni tornaconto.
Basta anche guardare allo spoil system del sistema pubblico, che avviene all’avvicendarsi di ogni nuovo governo. Se la prassi trova motivazioni politiche con riferimento ai massimi vertici dei Ministeri e delle società statali, altrettanto non si può dire degli effetti a cascata sulle strutture organizzative fino ai livelli medi e medio-bassi del funzionariato. Sono modalità di gestione le quali più che al principio di uguaglianza/appiattimento qui ricordato sembrano rispondere ai criteri del clientelismo e delle nuove fedeltà.
Ma merito e fedeltà non sono due facce della stessa medaglia, come avviene in tutti i rovesciamenti di fronte.
Ecco tu oggi non vali molto e quindi non puoi andare avanti se non per le posizioni residue. Cambia la fenomenologia, ma il guaio e’ sempre quello: uno vale uno.
Un’altra evidenza e’data dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche. Dopo aver stabilito che l’azione di vigilanza e’ stata inefficace e tardiva in tutti e sette i casi di dissesto bancario esaminati, essa non ha prodotto finora alcun risultato visibile. Bizzarrie istituzionali? Forse, ma anche qui in molti possono vedere l’applicazione furbesca del solito verbo: uno vale uno. Se non vi è merito, non vi è neanche demerito. Dopo tutto.
Cosa fare? Non arrendersi mai, anche se il costo di questa resistenza si fa sempre piu’alto, altrimenti difficilmente potremo rovesciare i nostri destini di paese che non riesce a riprendersi dal declino.
In un paese senza leadership, i principi della decrescita felice, dell’uno vale uno e della fatalita’ che copre le responsabilita’ quando accadono le tragedie di ogni tipo (rubricate come eventi inaspettati che, come ci ricorda Gramellini sul Corriere, nella patria dei paraculi e’ un riflesso spontaneo) rischiano di diventare le linee guida del nostro futuro.
In tal caso, dovremmo con rassegnazione citare ancora Steinbeck: “Le ultime piogge furono leggere e non lasciarono traccia sui terreni arati”.