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Venezia e il turismo e’ una questione che esplode periodicamente nel periodo ferragostano. Caldo, affollamento, fragilita’ della citta’, fuga dei residenti trovano ampio spazio su tv e media.
Certo a guardare le statistiche del solo Comune di Venezia si nota che il fenomeno e’ impressionante. La citta’ e il suo spazio fisico sono rimasti gli stessi, ma gli arrivi e le presenze turistiche sono più che quintuplicate. Il centro storico di Venezia e’ circa 800 ettari, isole escluse, ma il circondario interessato al flusso turistico non arriva se non a poche decine, piu’ o meno dieci campi di calcio ove convergono tutti.
I turisti che arrivavano nel dopoguerra erano meno di 2 milioni e oggi abbiamo superato gli 11 milioni, con un incremento notevole a partite dal 2000 (il grafico e’ tratto dal Destination Management Plan 2016-2018 della Regione Veneto). Turboturismo, turismo di massa, sciame turistico, turismo di rimbalzo sono termini ormai entrati nel lessico corrente. Anche altre citta’ e luoghi soffrono degli stessi mali, ma la peculiarita’ della citta’ lagunare e’ che la presenza dei turisti si concentra in uno spazio ristretto tra l’area marciana e quella di Rialto, di fatto inaccessibile ai residenti per gran parte dell’anno. Chi arriva si impossessa dello spazio e fa come non farebbe a casa propria. La capienza e l’accoglienza poi negli anni si e’allargata a dismisura con un’offerta diversificata che punta sulle navi da crociera e sulle case vacanza, che spuntano come funghi. Ma queste sono vicende note.
Quel che invece e’ meno evidente e’ come la struttura del commercio si e’ adeguata alle esigenze alimentari dei flussi turistici. Sono scomparsi i negozi storici per residenti, tranne i supermercati e si sono installati negozi di cibarie dai gusti improbabili e bizzarri. Pizzerie, cioccolaterie con vetrine irrorate da fiumi di cioccolata liquida e relative cascatelle e da poco tempo negozi che vendono quintalate di caramelle di ogni tipo e di tutti i colori possibili. Difficile resistervi soprattutto se questi store sono l’uno dietro l’altro.
In una delle Salizade nei pressi di Rialto su 35 esercizi commerciali a destinazione turistica ben 15 sono attrazioni per golosi della specie prima descritta. Caramelle, pizze ipercondite, cioccolata, cibo da strada sono proprio gli alimenti che in tutte le piramidi alimentari si trovano nella parte in alto, quasi vietati per le conseguenze nefaste che hanno sulla salute.
Ed allora come la mettiamo? Davvero Venezia contribuisce a peggiorare il nostro stato di salute e soprattutto quello di chi viene in visita? Nel dibattito “turismo sì, turismo no” questo aspetto non e’ ancora comparso, ma e’ singolare pensare che Venezia offra non i prodotti della dieta alimentare mediterranea, tipici della sua cucina, ma zuccheri, grassi e coloranti.
Una proposta paradossale ma dall’alto significato didattico e’ di portare a Venezia le scolaresche in visita per far vedere dal vivo quel che e’ da evitare nella nostra dieta alimentare. Sarebbe una utilissima lezione di educazione artistica e alimentare, nella stessa circostanza.
E per gli adulti che amano Capalbio e che vengono a Venezia solo per la Mostra del cinema sarebbe un modo simpatico per vedere dal vivo le piu’ autentiche espressioni del turismo cafonal, compreso l’attentato alla salute alimentare. Da commentare magari con snobistico sarcasmo. E cosi l’industria turistica a Venezia avrebbe un altro irresistibile richiamo.
Obesita’ da turismo e obesità da cibi sono due cause che portano prima a malessere e poi financo alla morte.
Una nuova morte a Venezia. Da abbuffata.