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Il nostro paese è alle prese con un vecchio e nuovo problema: quello dell’educazione del cittadino che ci riporta a frasi entrate nella storia come quella pronunciata alla nascita del Regno d’Italia da Massimo d’Azeglio che fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani.
È di questi giorni l’encomiabile iniziativa dell’Associazione Nazionale dei Comuni italiani di raccogliere firme per ripristinare nelle scuole la materia obbligatoria dell’ Educazione civica. Per conoscere le nostre vicende più recenti e la nostra Costituzione. Nulla di nuovo se si considera che cinquant’anni fa la materia scolastica veniva normalmente insegnata e si chiamava Storia e Educazione civica. Chissà chi l’avrà tolta e perchè.
Dallo scorso anno sono in azione organismi governativi per introdurre l’ Educazione finanziaria, ai vari livelli di istruzione e a favore della parte di popolazione meno attrezzata che ha dovuto fare i conti con i fallimenti bancari e con altre poco commendevoli pratiche finanziarie. Tardivo riconoscimento di fabbisogno educativo, a buoi scappati, non privo di conflitti di interesse e di rischi di manipolazione dell’informazione. Dobbiamo fare in modo che non vada perduta questa necessità di creare risparmiatori più vigili.
Il tema dell’ educazione ambientale incombe sui nostri comportamenti di cittadini per renderci più attenti alla raccolta differenziata dei rifiuti e ad altre azioni virtuose per la preservazione dei nostri habitat. Mancano sul tema dei servizi pubblici modalità economiche incentivanti delle buone pratiche o disincentivanti delle cattive. Le tasse non vengono per lo più allineate alla qualità dei servizi forniti, quanto alle esigenze di mantenimento delle strutture, leggasi società municipalizzate. Il tema dei disastri ambientali ci occuperà per generazioni.
L’ educazione alimentare vede schierate organizzazioni pubbliche e private nella esaltazione del cibo buono (biologico, a chilometro zero, da filiere corte, con piramidi alimentari mediterranee), anche nella prospettiva di contenere i costi sanitari a carico della collettività che alimentano coloro che abusano di grassi e di alcol, giovani in primis. I cibi più sani, in quanto meno manipolati, sono però anche quelli più costosi, essendo preziosi prodotti di nicchia. Bisogna anche combattere gli sprechi.
Che dire poi dell’ educazione digitale che ci vede in posizione di arretratezza tecnologica, con abitudini poco salutari come quella dell’eccessivo uso di contante. Il nostro sistema è però in buona parte organizzato per distribuire contante, attraverso sportelli bancari e postali, Atm, reti di tabaccai e cambiavalute. Sarà una contraddizione sanabile?
Fa difetto anche l’ educazione di genere e quella sessuale, che vede la componente femminile sempre più vittima di violenza. L’educazione maschile è però soprattutto appannaggio delle donne, madri e insegnanti e non mi sembra che sia stato investito molto nella relativa didattica.
Anche l’ educazione alla inclusione sociale dovrebbe fare assumere atteggiamenti più consoni di fronte alle migrazioni. Non conosciamo quasi nulla del fenomeno e ci fermiamo alle apparenze, con messaggi di emotional innumeracy, come viene chiamata la tendenza a esagerare i dati di avvenimenti legati a una minaccia, con scollamento tra situazione reale e percezione della gente.
Ultimo, ma non certo per importanza, cito l’ educazione stradale, per i tragici effetti di una incidentalità sempre molto elevata, soprattutto tra i giovani, frutto di comportamenti superficiali, rischiosi e poco propensi ai doveri del soccorso.
Siamo in attesa di dati circa gli effetti del reato di omicidio stradale, per capirne la deterrenza. Non siamo però più nel campo dell’educazione, preventiva, ma in quello della sanzione, successiva.
Sono convinto di aver dimenticato altri temi educativi, ma l’elenco è già talmente lungo da far prendere atto di un degrado individuale e sociale di grandi proporzioni, sulle cui cause dovremmo interrogarci più approfonditamente e domandarci se, stando veramente così le cose, la situazione non sia addirittura irreversibile.
Al primo posto vengono indicati i fallimenti della scuola e della famiglia. È un tema sociologico, del tutto e niente, e non ci aiuta molto.
Volendo essere più pratici ci dovremmo chiedere perché l’Italia è uno dei paesi a più alta corruzione, perché gli abusi edilizi sono all’ordine del giorno, perché abbiamo almeno cinque organizzazioni criminali con diramazioni all’estero, perché il rapporto tra Stato e Chiesa non ha prodotto un sinergico e positivo effetto sulle coscienze dei cittadini (il dare a Cesare quel che è di Cesare), perché non viene efficacemente contrastato il disprezzo della cosa pubblica, perché parti più o meno deviate dello Stato hanno fatto sponda con i nemici dello Stato, perché ci sono state larghe falle nel sistema di protezione del risparmio, perché ci sono le corporazioni e il gioco è spesso a saldo negativo per la collettività, perché le leggi sono ridondanti, ambigue, difficili da interpretare. E così via.
Non vogliamo essere qualunquisti. Ma ci viene in mente una possibile causa di questo degrado: quella della inadeguatezza della nostra classe dirigente, della sua propensione all’approssimazione, alla disinvoltura, alla demagogia, con l’obiettivo di occupare posizioni di potere il più a lungo possibile. E purtroppo anche la corruzione sembra inestirpabile, collocando il paese tra i posti più bassi delle classifiche internazionali. È vero che la politica è l’arte del possibile e del contingente, ma forse il nostro problema è che esageriamo in questo shortermismo, finalizzato al consenso. Per una fonte più autorevole della mia, rinvio al libro di Luciano Fontana Un paese senza leader.
Ora se c’è una cosa che accomuna gli interventi educativi è il tempo e la costanza da applicare nel loro perseguimento. Senza una visione strategica di medio lungo termine non si può fare educazione.
Purtroppo ci sembra che anche le iniziative più lodevoli manchino sovente di questo respiro e rischino di trasformarsi presto in fenomeni di moda, mossi da qualche causa sulla quale si concentra momentaneamente l’attenzione dell’opinione pubblica.
Poi passata la festa, tutto ricomincia facendo altri progetti, declamando altri proclami sui quali tutti, in linea di principio, non possiamo che essere d’accordo, riempiendo i media di nuove e belle iniziative che, dopo il primo annuncio, spariscono presto dalle pagine dei giornali e dalle trasmissioni televisive.
Mancando spesso gli strumenti di verifica, è difficile misurare i progressi educativi del cittadino.
Anche questa piattaforma editoriale sta provando a dare un piccolo contributo, puntando su un’informazione più critica, con qualche narrazione dimenticata di eventi che suoni di metafora e di analogia con più attuali situazioni.
Perché è la memoria che rafforza le capacità di apprendimento e di difesa, non il freddo trasferimento di nozioni.
Senza illudersi troppo però, perché una componente essenziale di ogni messaggio di progresso civile è banalmente il buon esempio. E noi siamo a corto di buoni esempi. Anzi siamo ricchi di esempi che vanno nella direzione opposta.
È improbo fare educazione, scaricando le inadeguatezze delle nostre istituzioni e classi dirigenti sui cittadini, tacciandoli di cattiva educazione. Chissà se Massimo d’Azeglio sarebbe d’accordo sui veri deficit ancora da colmare.