E dunque quando ormai si intravedeva la linea del traguardo di una riforma rimasta in gestazione per quasi un decennio, si dovrà ricominciare da capo per la posizione del nuovo governo contraria al riassetto del credito cooperativo così come disegnato.
Va subito sgombrato il campo dall’ipotesi che nulla debba essere fatto e tutto vada bene così come è e che anche una lunga moratoria non sarebbe scevra da rischi e incognite (Bce che cosa direbbe?) sulla tenuta del sistema.
In assenza di informazioni più precise sul percorso che il governo intenderà seguire, tornano ad essere legittime alcune proposte formulate a suo tempo le quali suggerivano altre ragionate strade, in nome della preservazione del credito cooperativo, cioè della sua stabilità finanziaria e della sua capacità di creare valore sociale aggiunto.
Ne ripresentiamo dunque una che era stata presa in considerazione da alcune BCC con un certo peso di mercato, per essere poi abbandonata, di fronte al quadro che si andava affermando. Da questo modello aziendalistico si può ricavare un modello più generale per l’intero settore del credito cooperativo.
La proposta consiste nel conferimento di tutti gli asset bancari delle circa trecentoBCC in una sola Banca, ottenendo in cambio una partecipazione al capitale proporzionale ai valori conferiti.
La nuova entità bancaria, sotto forma di societàper azioni, avrebbe fin da subito una dotazione di mezzi patrimoniali e volumi di attività tali da consentire una gestione efficiente, con il vantaggio strategico della capillarità, fondamentale per una banca per famiglie e piccole imprese.
Il nuovo assetto societario e la maggiore propensione al credito consentita dai buoni livelli patrimoniali porterebbe a liberarsi di parte del cospicuo portafoglio di titoli di stato, finora detenuti per rispettare il criterio della mutualità prevalente. Come è noto infatti i titoli della specie a breve sono considerati equivalenti ai crediti verso i soci, per continuare a godere dei benefici fiscali.
Perdendo la qualifica di banca, le BCC conferenti dovrebbero estendere il proprio raggio di azione, ispirandosi a finalità socio-economiche più ampie dell’esercizio del banking cooperativo, nel contesto civilistico che regola la proprietà cooperativa. Ciò escluderebbe qualsiasi assimilazione alle fondazioni bancarie, le quali erano prive del referente ultimo, cioè del titolare della proprietà azionaria.
Le finalità cooperative continuerebbero infatti ad avere la loro ragione d’essere nel radicamento nelle basi sociali territoriali che manterrebbero i diritti sul capitale della cooperativa.
Oltre a svolgere il ruolo di azionisti della Nuova Banca della Cooperazione Italiana (non sarebbe un nome appropriato?), le cooperative potrebbero sviluppare politiche autonome per assistere al meglio i territori con servizi di natura professionale, sanitaria, assistenziale, assicurativa, culturale, da rivolgere in prevalenza ai soci, ma anche ad altri utenti.
Quanto alla prima tipologia di servizi, le cooperative potrebbero puntare sull’assistenza tecnica a categorie economiche, quali, ad esempio, gli agricoltori, per aiutarli nelle scelte per la modernizzazione delle attività. Si pensi alla diffusione di nuove tecniche colturali (biologiche, di precisione, intensive) e di commercializzazione (filiere corte e a chilometro zero), alle pratiche per l’acquisizione di contributi pubblici, ai servizi connessi con l’economia circolare e con il rispetto dell’ambiente.
Quanto alla seconda tipologia, si tratterebbe di sviluppare i servizi di assistenza alla persona e alla famiglia, contribuendo, sussidiariamente, ad un welfare che Stato e Regioni hanno sempre più difficoltà a fornire.
Le cooperative da bancarie si trasformerebbero in cooperative di servizi, attente ai bisogni delle proprie comunità, con il vantaggio di fruire delle economie di rete, per coniugare efficienza ed equità.
Riteniamo che, così facendo, si rinnoverebbe il ruolo della cooperazione in continuità con la storia del movimento, ma nella consapevolezza di soddisfare una serie di nuovi bisogni, puntando a strategie di coesione sociale, anche attraverso progetti di educazione finanziaria, alla sostenibilità, alla inclusione e a nuove forme di socialità digitale, indotte dallo sviluppo delle smart communities.
Quanto ai mezzi necessari per queste attività, potrebbe prevedersi che gli immobili restino nella proprietà delle rispettive conferenti, le quali potrebbero percepire dalla Banca gli affitti per il loro utilizzo a uffici.
Potrebbero rimanere nel compendio delle cooperative scorporanti anche altri asset reali o finanziari, tra cui i crediti in sofferenza, i cui realizzi resterebbero di loro appannaggio, senza dover procedere alle decurtazioni di valore secondo le regole di svalutazione che vigono per le banche.
Le nuove attività delle cooperative potrebbero anche consentire l’assorbimento di parte del personale, che si rendesse eccedentario nel banking. Infine la governance di queste cooperative dovrebbe essere espressione di volontariato, con emolumenti ridotti a riconoscimenti simbolici per amministratori e sindaci.
La riforma ora in fieri prevede invece il mantenimento di tanti organismi di vertice quante sono le BCC, un esercito stimato in cinquemila/seimila persone, per un costo di decine di milioni, compresi gli organi della pletora di società a servizio che richiedono anch’essi forti interventi di razionalizzazione.
La nuova Banca, che partirebbe alleggerita dagli NPL e da altre ridondanze che gravano sulla attuale condizione del movimento nel suo insieme, sarebbe facilitata ad accedere al mercato dei capitali e opererebbe come unica entità bancaria cooperativa sull’intero territorio nazionale, secondo indirizzi definiti, coordinati e controllati in termini di efficienza aziendale. Sarebbe facilitata anche l’azione di redistribuzione sul territorio dei molti sportelli di Bcc che operano in sovrapposizione.
La migliore condizione finanziaria e patrimoniale consentirebbe alla Banca della Cooperazione Italiana investimenti, divenuti indifferibili, d’ordine tecnologico e commerciale, per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi bancari da costruire su una rete di oltre due milioni di soci/clienti, riconoscendo che non ci sono le condizioni per la dispersione delle risorse, in nome di asserite differenze tra gruppi cooperativi o per la conservazione di costose forme di autonomia bancaria.
Questo è, d’altro canto, il percorso che, mutatis mutandis, hanno seguito con successo altri sistemi cooperativi come quelli francese e olandese, evitando il rischio della perdita dell’appartenenza cooperativa (che, quando diviene sempre più onerosa per i suoi stessi soci, arriva fino a fagocitare se stessa), realizzando solidi intermediari bancari in grado di competere con i propri concorrenti non solo sul mercato interno, ma anche su quelli internazionali.
Questo è l’auspicio che formuliamo per il nostro sistema, tenendo a mente che, per la riforma in fieri, la parola finale spetta alla Banca Centrale Europea e ai suoi criteri tecnici di misurazione della stabilità degli intermediari, che non si preannunciano blandi.