Home BANCAVERDE® Credito cooperativo. Parte seconda: c’eravamo tanto sbagliati.

Credito cooperativo. Parte seconda: c’eravamo tanto sbagliati.

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Nel primo dei tre articoli dedicati al credito cooperativo, abbiamo paragonato le vicende delle BCC alla commedia del Goldoni “La villeggiatura” per i momenti che ne scandiscono la storia: i preparativi, le avventure e il ritorno. Il tema centrale è l’ironica rappresentazione della pigra borghesia veneziana non scevra da ambizioni di ricchezza e scalate sociali.

In questo secondo articolo, quindi, illustriamo le avventure delle BCC sui tempestosi mercati degli anni 2000, piene di contraddizioni tra grandeur di una riforma pensata ormai da tanti anni e un mercato del credito che nel giro di poco tempo sta cambiando radicalmente.

Molte delle tanto celebrate banche del territorio sono miseramente naufragate a vantaggio delle grandi banche che saranno protagoniste anche sui mercati locali.

Bisogna per lo meno ammettere che non vi sia stata grande abilità da parte degli autori della riforma nel far combaciare accentramento delle prerogative di governance (indirizzo, coordinamento e controllo delle attività bancarie cooperative) e mantenimento di gradi di autonomia delle singole Bcc con l’evoluzione del mercato.

Emergono i seguenti aspetti:

  1. durante la crisi il credito cooperativo è andato in controtendenza rispetto al resto del sistema, accumulando maggiori dimensioni rispetto al passato, ma anche maggiori costi e rischi.
  2. Non sono stati sviluppati nuovi contenuti differenzianti per modellare i tratti identitari della banca locale, del territorio, di prossimità o di altre missioni equivalenti, mentre sul mercato del credito e del risparmio di famiglie e piccole imprese si stanno proiettando con determinazione banche come Intesa, Unicredit, Credit Agricole, Ubi.
  3. Il credito cooperativo si é anche esposto ad una maggiore concorrenza interna, date le sovrapposizioni territoriali tra le BCC che aderiscono al gruppo Iccrea ovvero al gruppo Trentino, come mostra la contesa per strapparsi reciprocamente aderenti in importanti regioni, come Lombardia, Veneto ed Emilia.

Il sistema affronta il nuovo assetto con una struttura relativamente più pesante rispetto all’inizio della crisi (2008) e alle prime ipotesi di riforma (2014), come dimostrano i dati di Banca d’Italia, che fanno da supporto ai sempre più frequenti richiami, talvolta non bene accolti dai vertici del movimento, per velocizzare il processo di razionalizzazione.

Fonte Banca d’Italia Relazione annuale 2018

Mentre le risorse occupate nell’industria creditizia italiana sono scese di quasi 45.000 unità, nel credito cooperativo la riduzione è stata significativamente inferiore, facendo accrescere il peso relativo dei suoi occupati sul totale, dall’11,2 del 2012 al 13% del 2017 (oltre 30.000 persone che salgono a 35.000, considerando gli addetti alle numerose società di servizi).

La dinamica degli sportelli ha mostrato un andamento analogo, dato che il calo a livello generale è stato del 20% circa dal 2008, fino a 27300 unità, mentre la minore attitudine alla chiusura delle filiali da parte delle BCC, operata di solito nei piccoli centri, ha portato la quota del credito cooperativo dal 12,7% del 2008 al 15,6% del 2017 (4.256 sportelli,) accentuando la collocazione della rete distributiva nelle città, in luogo di territori meno contesi e delle aree più bisognose di servizi di base.

Nessuna rilevante iniziativa d’ordine organizzativo è stata assunta relativamente al presidio bancario delle comunità più piccole ricorrendo, ad esempio, a strutture più agili, gestite da remoto, in grado di consentire il disbrigo di pratiche quali l’apertura di conti o le richieste di fidi o l’acquisto di titoli, tramite collegamenti in video e procedure interamente digitalizzate.

Le quote di mercato di impieghi e depositi sono cresciute, fino a sfiorare l’ 8% del totale, portando il sistema a diventare, mentre imperversava la crisi, il terzo raggruppamento bancario italiano.

Emerge come i punti di debolezza siano la redditività (anche per le ridotte economie di scala) e la rischiosità (il credito anomalo sfiora il 18% degli impieghi totali), a fronte di requisiti patrimoniali ancora robusti, grazie ai vantaggi fiscali e ai criteri di distribuzione degli utili cooperativi dei decenni precedenti. Va da sé che i ridotti risultati reddituali dell’ultimo decennio hanno fortemente rallentato la dinamica di accumulazione dei mezzi propri.

Fonte Banca d’Italia Relazione annuale 2018

Il rapporto cost-income si è ridotto di poco sotto la soglia, elevata, del 70%, soltanto per effetto delle minori risorse destinate alla copertura dei crediti anomali, ad una forbice dei tassi superiore e a politiche di tariffazione dei servizi bancari tradizionali.

Del tutto giustificate quindi le ripetute sollecitazioni delle autorità in favore di importanti e rapidi interventi di razionalizzazione, anche in termini di riduzione dei costi di governance e di assorbimento delle situazioni di crisi ancora esistenti, pena la piena sostenibilità del nuovo modello.

La migliore condizione patrimoniale dovrebbe essere altrettanto rapidamente utilizzata per investimenti d’ordine tecnologico (al momento le piattaforme informatiche utilizzate dalle BCC sono ben otto) e per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, facendo perno su una base di oltre 1,2 milioni di soci/clienti e vedendo, ad esempio, nel fenomeno dell’esclusione finanziaria di parti rilevanti della popolazione il naturale bacino di espansione del banking cooperativo.

Invece queste esigenze hanno un grado di indeterminazione ancora elevato, rischiando di lasciare vuote le specificazioni produttive, che dovrebbero contraddistinguere il credito cooperativo, allontanandolo dalla tendenza ad omogeneizzarsi con le altre tipologie di banche.

In conclusione, noi ci auguriamo che non prevalga, come é invece sembrato negli ultimi anni, una linea strategica che punta soprattutto alla dimensione, nella illusoria credenza di poter competere con le banche maggiori sul loro stesso terreno, rinunciando alla specificità di un proprio autonomo business.

Il terzo articolo di questa serie esporrà quindi un’ipotesi, nel caso in cui l’architettura del gruppo bancario cooperativo dovesse rivelarsi, oltre che di complessa e costosa gestione, anche di scarsa efficacia nel conservare i caratteri della sostenibilità: un ipotetico piano B, dovessero insorgere ostacoli nel processo di autorizzazione di BCE e Banca d’Italia, stabilendo maggiori requisiti di capitale per le due capogruppo.

Perché, se le regole dell’efficienza economica sono uguali per tutti, quelle della diversità socio culturale, su base no profit e solidaristica, richiedono di essere sviluppate con modalità del tutto nuove rispetto al passato.

Questo è il vantaggio che credito cooperativo deve essere certo di saper ancora sfruttare.

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